lunedì 2 marzo 2009

La 2°C rilegge Camilleri. Variazioni dialettali sul romanzo "Il cane di terracotta"


Andrea Camilleri


Il commisario e i so omeni iera appostai de drio a na caseta per far una irusion.
I dovea caturar un brigante che ni voea che a notisia se faseva granda quindi al gaea fato una corusion al commissario.
Bagon e Firmin ierano entrai nea caseta mentre il commissario iera andà de drio e perse a soa pistoea. Nel tsercarla iera ingambarà in un fior. Se arabiò e vusò bestemie: se era smacià de roso.
Quando Bagon al gaea domandà: “Situ fato mal?”, lu rispose: “No, no. L’è nient.”
Intanto nea caseta Bagon e Firmin ierano a tsercar el brigante. Ala fine io ga catà e io gà portà in comisarià de polisia.
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R.C.
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ER COMMISSARIO FABBRIZI
Fabbrizi co’ i suoi aiutanti, sta nascosto vicino a na casaccia pe catturà un latitante.
Fabbrizi se guardò er maresciallo Lucchini e iè disse:-Voi anna?- E Lucchini co tre zompi arrivò accanto alla casaccia.
Se guardarono nell’occhi e tutti e due se misero d’accordo su quello che dovevano fa. S’accostarono a tre passi dalla porta che non era tanto resistente e con un colpo la buttarono giù e riuscirono a entrà. Ce trovarono dentro er delinquente Curci che co no zompo cercò de acchiappà er mitra, ma er commissario Fabbrizi iè disse:-Te voi fermà o sparo en nome della legge!- Er commissario sparò tre corpi in arto e Curci se bloccò. Da fori l’artri poliziotti sentirono i corpi de rivortella e cominciarono a sparà.
Tutti dentro la casa erano rimasti storditi dai botti, quanno an tratto arriva Maltese a mettece er carico da undici e dice:- Fermo o sparo!- Ma spinto dall’artri du colleghi intruppa er naso contro er muro. Lucchini vede Maltese sanguinante e se spaventa, ma lui lo rassicura dicendogli che aveva sbattuto er naso contro er muro.
Subito dopo irrompono nella casa e Maltese ammanetta er boss Curci, mentre Lucchini tiene er mitra in mano.
Appena tutti se ne sono annati er commissario Fabbrizi rientra nella casa, apre la credenza, prende na bottiia de vino de li Castelli Romani e se la scola sotto l’ombra dell’arancio.
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D.C.
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Erano già cinque minuti che Olteanu aspettava George e Vasile che dovevano essere appostati dietro alla casuta nei pressi del piccolo paesino di Piatra-Soimulu. Gli sembrava di essere diventato un personaggio da film di gangster, e non vedeva l'ora di dare il segnale di alzare il sipario perchè il commissario, all’insaputa dei suoi agenti si era messo d’accordo con il boss Mihai per inscenare la cattura. Disse a Vasile:"Esti gata?", Sei pronto? "Gata" gli rispose Vasile nervoso. Trattandosi di un' insenare, Olteanu non esitò e ordinò all'agente di andare. Come lanciato da una molla compressa allo stremo, quasi non toccando terra, Vasile con tre salti arrivò alla casuta, si appiattì contro al muro alla stinga, alla sinistra, della porta. Vasile impugno' bene il mitra e fece semn al comisarul che era pronto per la seconda parte. Olteanu allora ando' verso George e Vasile che gli disse che li copriva lui. Con uno stacco di terra deciso ed equilibrato Olteanu fece un salto da professionista. Alla partenza del secondo salto da diritto che era, Olteanu si inclino' come la Colonna Infinita1 e cadde pesantemente di braccia. Meno male che la cosa era finta, pensò il comisarul altrimenti Mihai avrebbe potuto abbatterli come birilli. Sparando le piu' sostanziose injurari, Olteanu si mise a cercare la pistola che prima gli era caduta dalle mani, e quando la trovo', in un cespuglio di bostani selvatici, questi gli spruzzarono la faccia di semi. Con una certa rabbiosa tristezza comisarul si rese conto che da eroe di film di gangster si era degradato a personaggio di Leana e Costel2. Olteanu e Vasile si misero d'accordo e si piazzarono a tre passi dalla porta, e vi si scagliarono con tutto il peso dei loro corpi. Comisarul si fermo', ma Vasile preso dalla violenza si scaglio' verso la camera e, per lo slancio, andò a sbattere con la faccia contro il muro affogando nel sangue che aveva preso a sgorgare per via della botta al naso. Mihai in questa situazione sparò anche lui contro la finestra. Vedendo il casino, Olteanu si mise a gridare:"Operstete sau trag!", fermo o sparo! e sparo' quattro colpi verso l'alto. George e Vasile da fuori sentivano tutta quella sparatoria e aprirono un fuoco di scoraggiamento contro la finestra. Tutti dentro la casuta erano rimasti immobilizzati e quando arrivo' anche Ion gridando anche lui:"Opritava sau trag!". Sotto gli occhi sconfortati di Olteanu i due agenti arrestarono Mihai e lo portarono in inchisoare. Comisarul rimase nella casuta, dicendo ai suoi che doveva perquisire l’edificio. Rimasto solo aprì la credenza dove si trovava la bottiglia di rachiu che aveva gia' assaggiato in compagnia di Mihai quando si erano accordati per l' insenare.

1 Colonna Infinita (in rumeno: Coloana fără sfârşit) : monumento realizzato dal grande scultore rumeno Constantin Brâncuşi, per il giardino pubblico della città di Târgu Jiu.
2 Leana e Costel:sono due peronaggi rumeni comici,più precisamente marito e moglie.


La colonna infinita

E.S. & I.A.
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Montalbano calcolò che Cattaneo e Basilico erano da cinque minuti de drè la caseta. Lui era stravacà a pancia en terra con la pistola in pugno pronto ad agire. Si sentiva un po’ ridicolo perché sapeva che era tutta una messa in scena. Infatti il mafioso Tano il greco lo aveva informato che si trovava in quel posto e voleva farsi catturare. Guardò il suo compagno Monti e gli disse che l’era l’ura de cuminciar. Allora Monti si lanciò con tre salti da ver proessinista verso la caseta e si mise a late dela porticina. Lo seguì Montalbano che però al secondo salto caddè a terra perdendo anche la pistola in un cespuglio di soffioni. Con imbarazzo la raccolse e i soffioni gli riempirono la faccia. Arrivò alla caseta con passi veloci e fece segno al compagno di sfondare la porticina, che essendo leggera e fragile si aprì di colpo. Monti andò a sbattere contro il muro della stanza, iniziando a perdere sangue al naso. Montalbano vide Tano il greco sdraià sul lett ed esclamò:” Fermo o sparo!! Mani in alto!!”. Il kalashikov l’era apugià sul tavolin, lontano dal mafioso, che per questo non oppose resistenza. Tano il greco venne catturato e lui, quando tutti se ne andarono si scolò un bel bottglion de vin, ripensando a quella falsa cattura.
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G.C. & L.A.
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Ambros e Giuan si erano appostati dedre la cà e Brambilla era steso sull’erba aspettando di dare il segnale de tirà su il sipario. Al guardava Pepin che l’era de fianc e al ga dumanda se era pronto. L’agente era molto nervoso, ma andò con tre balzi a sinister della porta fece segn di essere pronto. Brambilla guardò verso Peder che era rilasaa e poi fece un salto perfetto, ma al secondo atterrò male, tanto che Pepin stava per viutal, ma si fermò contro il muro. Anche Peder al sa tira su ma poi si riabbassa. Brambilla ritrovò la pistola che gli era caduta e corse verso la casa tu fa su. Il commissario e Pepin si scagliarono contro la porta: Brambilla l’è sta bun di fermarsi, mentre l’altro attraversò ul lucal, sbattè contro il muro, al pestò ul nas e al fu sufuca dal sangue. Giacum si svegliò e prese l’arma, Brambilla recitò come a teater:”Fermo! In nome della leg” e sparò al soffitto. Giacum alzò i brasc e Pepin sparò una raffica di colpi al pian de sura pensando ci fosse qualcuno nascundu.
Ambros e Giuan sentendo la sparatoria entrarono nella casa e Peder non ebbe minga nianca il tempo di parlare che al fu spingiù tra Brambilla e Pepin, il quale tirò fora il fazzoletto per tampuna il naso: il sangue ga spunca la camisa, la cravatta e la giacca. Giuan chiese se gli avessero sparato e Giacum stava sempre coi brasc alzate e al guardava nessuno; fu poi ammanettato e portato alla questura, prima però guardò il commissario con uno sguardo diverso. Brambilla si fermò per perquisire la casa e prese una bottiglia di vino meza voia per festeggiare la cattura.

Montalbano = Brambilla
Galluzzo = Pepin
Fazio = Ambros
Germanà = Peder
Gallo = Giuan
Tano = Giacum
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S.B.
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Ul Cumisari Loris, el diss che i du agent , ul Renato el Massi duvevan vess de dre de la vileta.
Lu, ul cumisari l’era con la pancia in mess a l’erba e la rivultela in del pugn.
L’era un pò ridicul ,infatti ghe pareva de vess un persunacc del cinema.
A un certo punto, el ghe diss al so agent Massi :
“Si prunt ?”
“Si, su prunt.”
“Allura das de fa.”
El Massi,con tre pass el riva in su la porta de la vileta.
El Massi, a questo punto l’era prunt, el ghe diss al cumisari de vegni li visin in de lu.
Ul cumisari cunt un salt fu subit li.
I du agent eren sbalordì del salt del lur cumisari, poe ancamò un’alter salt e a momenti el burla giò,la pistola la và in tera.
A questo punto el capiss che l’è no un eroe del cinema ma l’è pusè una macchietta e le chisce che el decit de sta giò in cruss.
El cumisari, el Massi a questo punto, se preparen,se guarden in di occh e senza diss nient sin miss a tre pass da la portae ,tiren ul fià e con tuta la forza che gheren se tran in su la porta e la tran giò.
Ul cumisari el riess a fermass, ma il Massi el va a pestà ul muss in sul mur.
A questo punto Tanu detto “ U Greco” el leva su per cercà de ciapà il mitra,ma ul cumisari con la rivoltella puntata el ghe diss:
“Fermess in nome de la legge se no te sparo.”
Tanu si immobilizzò, ma a questo punto il Massi rintronato dal colpo subito el taca a sparà cunt ul mitra.
De Fora l’agente Renà e il Brambilla tachen a sparà anca lur.
Finita la sparatoria ul cumisari el ghe diss al Massi de metigh i manett al Tanu, de metel in machina e de purtal in cumissarià a San Dalmazi.
A questo punto,ul cumisari el decit de sta li per fa una perquisiziun de la cà.
El derva una credenza, el ciapa una buteglia de vin e poe el va sota una pianta de fig, per be in santa pace na buteglia de vin.
La catura del periculus latitante l’era stada purtada a termine con successo.
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F.B.
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Il Juan calcolò che da cinch minut almeno il Mario e Il Luciano se dueven vess appustà dre la ca’; in quant a lu, sdraià a panscia per terra in mes all’erba, pistola in man, una preia che gli premm fastidius propri sul bech del ventre, se sentiva profondamente ridicul, le pareva vess diventà un personaggi de un film de gangster e non vedè l’ura di da il segnaa de tirà su il sipari. Informatore Maria gli sta in fianc – Germanà l’era più luntana, vers destra – e gognin sussurrando;
"Te se pront?"
"Si" rispund l’agente che, se vede’, che l’era tutt un fascio de nervus e sudava. Il Juan gaveva pena, ma non pudè quaj andà a cuntà che se trattava de una messinscena; dall’esit dubi, è vero, per sempre de cartun.
"Va!" le ordinò.
Com lassà da una mola samperlada al massim, asquas non palpugnà tera, la Maria con tri salt riva in cà, se schiscà conto il mur a sinistra della porta. Parea non avè fa fatigada, però il cumisari gli vedè il pett che se faseva sota e se sbassava per il respiri ostich. La Maria ciapà su il mitra e face un gest al cumissari che l’era prunt per la secunda part. Il Juan alura andà vers la Germana che la parveva non sul seren, ma adiritura rilassà.
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A.V.
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Montalbano calcul che da cing mnt almon Faz e Gal si duvevn gesser appustot rot la cas in quanto a ghed sdraiot a panza in terra in miz all’ erv, pistol in pugno, con una pot che gli ste a pron fastdios proprio sulla voc dello stomc. Si sentiva ridicolo gli parov di gesser diventot un personaggio da film di gangester e non vodov perciò l’ ora di dare il segnol di galze il sipario.
Guarde Galluz che gli stava a u lot, German era più lunton vers destr e gli spiò sussure
“Si pront”
“si” rispose l’ agent che si vedev era tutto un fascio di nirv e sudov.
Montalbon ne ebbe pena ma non putov certo andargli a contare che si trat d gon messinscn dall’ esito dubbio go vor prò semb d carton.
“Ve!” gli ordn.
Com lanciot da una molla compres sullo strm quasi non toccando terra Galluz con tre salt arrivò alla cas s’ appiatti contro u mor a manca della porta. Por non aver fatt fateic però il commisor gli vide il petto che s’ alzov e s’ abbasov per il respeir affanot.
Galluz impugnò bein il metre e foc segn al commisor che gor pront per la seconda parte. Montalbon allor guardò verso German che apparv non solo serein ma addorottor rilassot.
“Go vod” gli disse senza suono muovend esageratament la voc e sillaband
“La copr goi” rispos German allo stesso mod indicand con gon moviment della cop il meitr che tonov fra le mon.
Il primo balzo fu a manual uno stacco da terra deciso ed equilibrt degno di uno specialista di salto in alto una sospension d’ area lievita in atterraggio netto e compost che stavam a guarde da devers punt di vista ugualment si compiacquero per la prestazion del loro cap. Il secondo balzo fu calibrot meghio della preim ma successe qualcos per cui Montalbon da drit che era s’ inclinò di lot mentre la ricadot fu un ver e propr numero di clown. Montalbon durante la cadot perse la sua pistol che era andata a finire in mezzo ad una troffa di cocomerelli serbatici e per prenderla tutti i cocomerelli scoppiarn e gli andarn la faccia di simenze.
Montalbon e Galluz si piazzorn a tre passi dalla porta tirarono il fiot e vi scagliaron contr con tutto il peso dei lor corp. La porta si rivelò ghesser fatta di carta velin perciò i due si trovorn a ghesser proiettot all’ interno. Il commissario riusci a ferme miracolosamente invece Galluz andò a sbattere u nos contro u mor scugniandoselo.
Montalbon gridò “ferm in nom della leg. Fermo o sparo”
e Tano s’ immobilizzo.
Quando German,Gall entrarn Montalbon diede un ordn preciso di arrestare Tano e di portarlo via.
Quando si allontanarn Montalbon prese dalla credenza una bottigl d vin che ger ancor chion a metà e se la scolò all’ ombr di un ulivo.
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S.D.
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Monti calcolò che da cinque minuti almeno Miggiano e Pataleo si devono essere appostati arretu alla casa; in qunato a lui, curcatu a venctre sutta in mezzo all’erba, pistola in pugno, con una pietra proprio sulla bocca dello stomaco, si sentiva profondamente ridicolo, gli pareva d’essere diventato un personaggio di film di gangster e non vedeva perciò l’ora di dare il segnale cu azzane u sipariu. Guardau Rango che gli stava te latu – Serra era più lontano, verso destra - e gli domandau sussurrando: “sei pronto?”. “sine” rispose l’agente che ,si vedeva, era un fascio di nervi e sudava. Monti ne ebbe pena ma non poteva certo andargli a cuntare che si trattava di una messinscena dall’esito dubbio.”Vai!” gli ordinò.
Come lanciato da una molla compressa allo stremo, quasi non toccando terra, Rango con tre salti arrivò alla casa, s’appiattì contro il muro a sinistra della porta. Parse non aver fatto fatica, però il commissario gli vide il petto che s’alzava e s’abbassava per il respiro affannato. Rango impugnò bene il mitra e fece segno al commissario che era pronto per la seconda parte. Monti allora guardau verso Serra, che non appariva solo sirenu, ma addirittura rilassato. “ieu vadu” gli disse senza suono, muovendo esageratamente la bocca sillabando “la copro ieu” rispose Serra allo stesso modo, indicando con un movimento della testa il mitra che teneva tra le mani. Il primo balzo in avanti del commissario fu se non d’antologia, minimo da manuale, uno stacco da terra deciso ed equilibrato, degno di uno specialista di salto in alto, una sospensione d’aerea lievità, in atterraggio netto e composto che avrebbe meravigliato un ballerino. Rango e Serra che stiune quardandu da diversi punti di vista, ugualmente si compiacquero per la presenza del loro capo. La partenza del secondo balzo fu calibrata meglio della prima, nella sospensione però successe che da dritto che era, si inclinò di lato come la torre di Pisa, mentre la ricaduta fu un vero e proprio numero da clown. Dopo aver oscillato spalancando le braccia alla ricerca di un appiglio possibile; crollò pesantemente di fianco. Istintivamente Rango si mosse cu lu iuta, ma si fermò a tempo e s’attaccau alla parite. Puru Serra se zzau di scatto, poi si riabbassò.
Meno male la cosa era finta pensò il commissario, altrimenti Frontò avrebbe potuto in quel momento abbatterli come birilli. Sparando i più sostanziosi santi del suo repertorio, Monti ginocchiato si mise a cercare la pistola che nella caduta gli era scappata di mano. Finalmente la vide sotto un cespuglio di cocomerelli servaggi e appena ci calò lu razzu cu la piglia, tutti i cocomerelli scoppiarono e gli inondarono la faccia de semenza. Con una certa rabbiosa tristezza il commissario si rese conto di essere stato degradato da eroe di film di gangster a personaggio di film di Gianni e Pinotto. Oramai non se la sentiva più di fare l’atleta né il ballerino percorse però i pochi metri che lo separavano dalla casa a passo svelto, stando sulu nu picca aggomitolatu.
Guardandosi negli occhi, Monti e Rango si parlarono senza parole e si misero d’accordo. Si piazzarono a tre passi dalla porta, che non pareva particolarmente resistente, tirarono il fiato e vi si scagliarono contro con tutto il peso dei loro corpi. La porta si rivelò fatta di carta velina o quasi , sarebbe bastata una manata a farla cadere, perciò i due si ritrovarono a essere proiettati all’interno. Il commissario riusciu a fermarsi miracolosamente invece Rango, portato dalla violenza della sua stessa spinta, traversau la camera intera e andò a sbattere con la faccia contro il muro, scurciandose lu nasu e restando menzu suffucatu del sangue che aveva pigliato a sgorgare violento.
Alla scarsa luce del lume a pitruiu che Frontò aveva lasciato dumatu , il commissario ebbe modo di ammirare l’arte di attore consumato del Greco. Fingendosi sorpreso nel sonno, balzò in piedi gridando bestemmie e si precipiò verso il kalashnikov che ora stava impuggiatu al tavolo e perciò lontano dalla branda. Monti fu pronto a recitare la sua parte di spalla, come viene chiamato a lu teatru.
“Fermo!in nome te la legge, fermo o sparu!” gridò con tutta la voce che aveva e sparò quattro colpi verso il soffitto. Frontò s’immobilizzò, a razze alzate. Persuaso che nella camera di sopra ci fosse scusu quarcunu, Rango sparò una raffica di mitra verso la scala di legno. Da fuori, Miggiano e Pataleo, a sentire tutta quella confusione, aprirono un fuoco di scoraggiamento contro la finestrina. Tutti dentro la casa erano rimasti intronati da quei botti quando arrivau Serra a metterci il carico di undici:”Fermi tutti o sparu”. Non ebbe manco il tempo di finire la minacciosa intimazione che si trovò spinto alle spalle da Miggiano e Pataleo, costretta ammenzu tra Monti e Rango che, posato il mitra, aveva tiratu fori te lu sacchetto un fazzoletto col quale cercava cu se tegne lu nasu, il sangue gli aveva lurdatu la camisa, la cravatta, la giacca. Pataleo, a vederlo, s’innervosì. “Ti ha sparato?Ti ha sparato, eh, quel cornuto?” fece raggiatu vedendosi verso Frontò che se ne stava sempre, con santa pascienza, con le razza azzate in attesa che le forze dell’ordine facessero ordine nel casino che stavano combinando. “No, non mi sparò!Sbattì contru lu muru”. Articolò malamente Rango. “Ammanettatelo” “E' lui?” – disse a massa voce Miggiano – “E' lui non lo riconosci?” disse Monti. “Che facciamo ora?” – “Mettetelo in macchina e portatelo in questura a Maglie. Strata facennu, chiami il questore, gli spieghi tutto e ti fai dire cosa dovete fare. Fasciti che nessuno lo veda e lo riconosca. L’arresto deve rimanere assolutamente segreto. Andate!” – “ E lei?”- “ Io dò uno sguardo alla casa, la perquisisco, non si sa mai.”Miggiano e gli agenti, tenendo in mezzo Frontò ammanettato, si mossero per uscire. Serra teneva in mano il kalashnikov del prigioniero. Solo allora Frontò u Greco zzau la testa e guardau per un attimo Monti. Il commissario se n’corse che lo sguardo “di statua” era scomparso, ora queglio occhi erano animati, quasi ridenti.
Quando il gruppo dei cinque, al termine del viottolo, scomparve alla vista, Monti rientrò nella casa per cominciare la perquisizione. Infatti aprì la credenza , pigliau la bottiglia di Primitivo che era ancora a metà e se la purtau all’ombra d’un ulivo, per scolarsela tutta in santa pace. La cattura del pericoloso latitante era stata portata a termine.
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G.D.
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I 3 milanesi e il tesoro del Faraone (una variazione un po' fuori tema, ma divertente)
Direttamente da Milano tre signori chiamati Pepin, Giusep e Gaetan, tutti e tre appassionati di archeologia, decisero di organizzare un viaggio in Egitto per cercare quello che avevano sempre sognato: il tesoro del Faraone Ramses. Il Pepin è un uomo molto avventuroso ma nello stesso tempo molto fifone; il Giusep è un abile archeologo, molto religioso e nel tempo libero pratica karate; l’ ultimo,il Gaetan, il tartaglia di Milano , il più anziano del trio. Nonostante la sua vecchia età è una persona ancora molto agile;l’ avarizia è la caratteristica che li accomuna.Le 4 ore trascorse in aereo,furono per il Pepin infinite e infernali per la sua paura dell’ aereo. Arrivati a destinazione alloggiarono in un hotel da due stelle poco costoso e dove l’ igiene l’era un de pù.La mattina, dopo aver reclutato alcuni uomini del posto, arrivarono alla grandissima piramide per cominciare le ricerche del tesoro nascosto. Il capo delle guardie era un egiziano così grasso ma così grasso che faticava a stare seduto sulla sedia.Era tutto sudato e un tipo mingherlino lo rinfrescava con un ventaglio.Li squadrò fumando un sigaro puzzolente che infestava l’aria. Non conosceva bene l’italiano ma a gesti si fece capire bene: voleva dei soldi per dare loro il permesso di fare le ricerche nella piramide.Alla fine trovarono un accordo e gli diedero i soldi che chiedeva.All’ingresso della piramide c’era un’altra guardia. Era un uomo molto alto con una lunga tunica bianca e un turbante che gli copriva parte del viso. Aveva degli occhi neri cattivi e perfidi.Li guardò con cattiveria e… indovinate un po’… voleva dei soldi anche lui. Ul Pepin che era famoso al suo paese per la sua taccagneria disse: "Ades basta! Basta danè. Io torno a casa".Gli amici lo fermarono facendolo ragionare, gli dissero: se non paghiamo non troveremo niente e il nostro viaggio sarà stato inutile, dai fai uno sforzo tira fuori i soldi.Finalmente riuscirono ad entrare nella piramide. Erano affascinati da quella enorme costruzione. Tanti archeologi avevano fatto delle ricerche ma la camera del tesoro non l’aveva mai trovata nessuno.Cominciarono a cercare nella direzione che ancora non era stata esplorata. Le ricerche durarono giorni e giorni senza risultato e i tre amici erano scoraggiati.Oltretutto ogni giorno dovevano pagare la guardia spilungona che non li voleva far entrare.Ogni giorno era una discussione, un giorno stavano quasi per picchiarsi, ma le guardie li fermarono appena in tempo. Il Gaetan però minacciò lo spilungone:”Basta danè, la prossima volta ti do un sacco di bastonate.”I soldi stavano per finire e anche le speranze di trovare il tesoro.La mattina seguente stranamente la guardia non era al suo posto e i tre archeologi esultarono per la sua assenza. Dopo alcune ore di ricerche il Pepin urlò:” Cusa l’ è quel rop chi?”- “ Vusa no che sun minga sturn” disse Gaetan.“oh madonna santa l’ è un cadaver…. E l’ è mort!" E si fece il segno della croce.I tre amici uscirono di corsa urlando: ma ad attenderli fuori c’era già la polizia che li arrestò all’istante.Il Gaetan che era il più agile e riuscì a fuggire. In caserma i due furono interrogati e malmenati molto duramente. La polizia li accusava dell’omicidio della guardia spilungona e corrotta…. ul cadaver l’era propri quel. I due amici si difesero come potevano, le guardie non capivano la lingua e continuavano a picchiarli. Intanto il Gaetan stava cercando le prove dell’innocenza dei suoi amici. Aspettò che portassero via il cadavere, e si introdusse nuovamente nella piramide. Cercò dappertutto e finalmente trovò una prova: vicino al luogo del delitto c’era un mozzicone di sigaro… proprio il sigaro puzzolente che fumava il capo delle guardie.Se lo mise in tasca e si diresse verso l’ufficio del ciccione.Si nascose in tasca un registratore e si fece coraggio.Quando entrò il capo delle guardie era seduto al suo posto e sembrava ancora più enorme. Fumava il suo solito sigaro puzzolente e lo trattò in malo modo. Il Gaetan doveva cercare di farlo confessare prima che fosse troppo tardi per i suoi amici. Lo provocò accusandolo di essere l’unico funzionario corrotto, il ciccione per difendersi replicò che anche la guardia uccisa era corrotta e che anzi, prendeva più soldi di lui. Il Gaetan tentò il tutto per tutto e lo accusò dell’omicidio, disse: “ Allora lo hai ucciso tu lo spilungone, volevi anche la sua parte di soldi!”.Il ciccione scoppiò in una risata terribile e disse:”Era troppo avido non voleva darmi la sua parte, io sono il capo e mi doveva dare la metà di quello che prendeva lui. Ho dovuto farlo. Ma tu non puoi provare niente di quello che dici, adesso ti faccio arrestare!” Il Gaetan con uno scatto riuscì a scappare e andò dritto dritto alla polizia. Fece ascoltare la registrazione ai poliziotti e chiese la scarcerazione dei suoi compagni. I tre amici tornarono in libertà, un po’ malconci e abbattuti. Il loro aereo partiva il giorno dopo. Il Pepin disse: “ Ragazzi fem ammò un tentatif, duman partum e turnem a ca’ nostra”. Ritornarono alla piramide senza molta convinzione, ma quando ormai avevano perso le speranze…. Trovarono un muro che suonava a vuoto, lo sfondarono e si trovarono di fronte al più bello spettacolo della loro vita:La camera funeraria del faraone era lì davanti ai loro occhi in tutta il suo spendore:Rimasero letteralmente a bocca aperta… e per dei chiacchieroni come loro era proprio un avvenimento! Cominciarono a saltare, ballare, gridare e abbracciarsi l’un l’altro felici della loro impresa. Era stata una avventura molto movimentata, ma ne era valsa la pena, avevano trovato un tesoro inestimabile e sarebbero entrati nella storia. Già si vedevano i titoli dei giornali: “Scoperto uno spelendido tesoro dell’antico Egitto da 3 archeologi milanesi”. Il Pepin per non smentirsi disse: "L’è custà un po’… ma ne è valsa la pena!"
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M.O. & N.C.
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Rossi, Bianchi e Brambilla erano appostati dietro la cascina. Il commissario era sdraiato sull'erba con la pistola in pugno e una pietra che gli premeva lo stomaco, non vedeva l'ora di agire. Brambati scattò da terra con tre salti e arrivò alla sinistra della porta. Il commissario Rossi partì e con un balzo atterrò a metà strada, il salto fu da maestro. Il secondo salto, mentre era in volo ci fu qualcosa che non andò e cadde a terra e mentre era in volo perse la pistola. La trovò in un rovo e quando mise dentro il brasc si punse tutto. Il commissario e Brambati si misero d'accordo per sfondare la porta. Ma la porta era fatta di carta velina, il commissario riuscì a fermarsi ma Brambati andò a sbattere il cò contro il mur. Mentre i poliziotti si chiarirono Bosè, il boss, alzò i brasc e si guardò la punta dei piedi mentre i poliziotti discutevano. Il commissario alla fine disse ai suoi uomini di portare il boss in questura, mentre lui disse che faceva un sopraluogo, ma non era vero. Aprì l'armadietto e prese la bottiglia di vino e andò a scolarsela all'ombra di una magnolia.
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M.C.
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Mario Rossi, il commissario del distretto di polizia di Giambelino, quartiere in periferia di Milano,aveva ricevuto una chiamata da un certo Salvatore Esposito, boss della mafia siciliana, venuto al nord per farsi catturare dopo anni di latitanza.
Rossi e la sua squadra si preparano e senza fare troppo rumore raggiungono il luogo dell’incontro e si preparano ad entrare in azione.
“Te se prunt?”
“Mi si”si fece trovare pronto il Giovanni.
“Allora ti te ve col Brambilla sul retro mentre mi e l’ Beppe passem dala porta davant”.
Una volta entrati nel giardino il commissario fece, com una mola samprelada al massim, tre salti fino arrivare in casa. Al terzo salto cadde e perse la pistola in mezzo a un cespuglio di ortiche che andò avanti a gratas la faccia per tutto il tempo.
Gli sembrava di essere passato da film di gangster a una commedia di Paolo Villaggio, ma per fortuna era solo una messa in scena.
Lui e l’ Beppe si scagliarono contro la porta con tutta la forza possibile, ma l’era fatta de carta o l’ mancava poc, allora il Beppe andò contro la parete e se scepà il naso.
Subito il Giovanni entrò nella stanza e accorse a vedere le condizioni del Beppe ed esclamò:”Quel mascalsun lì ta sparà!” ma il Beppe lo smentì dicendogli la verità.
Intanto il boss l’era setà giò sula branda che aspettava che il commissario lo ammanettasse. Finalmente ci fu l’arresto, che il commissario Rossi aveva detto doveva essere tenuto segreto e mentre la sua squadra tornava al distretto con il malvivente e all’oscuro di tutto, lui si finì una butiglia de “Inferno”.
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E.B.
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Il commissario Stellin si era appostato de drio alla casa. Dopo cinque minuti arrivarono anche Forestan, Brusco e Visentin, suoi colleghi.
Stellin stava per compiere una messa in sena: era la cattura del boss Pavan che voleva farsi arrestare. Ma i compagni di reparto di Stellin non sapevano di nulla. Stellin cominciò a dare i ruoli: Forestan e Brusco erano di gardia e di copertura mentre Stelli e Visentin irrompevano nella casa.
Con tre salti Stellin si diresse verso la porta esterna, ma al terzo salto cadde su una pianta di sucomoro: con il succo si sporcò la camisa e con le spine si tagliò la maglia (sic). Così Stellin cominciò a bestemare. Visentin, vedendo Stellin con la camisa tutta rossa, si spaventò e andò a soccorrerlo. Quando vede che Stellin sta bene, decidono di sfondare la porta. Andarono addosso alla porta con tutta la forsa, come un camion. Ma la porta era lezzera così, per lo slancio Stellin e Visentin andarono a sbattere con la faccia contro il muro di fronte e si ruppero il naso dando fora tanto sangue.
Stellin gridò: "Ciapamolo!", così Visentin Tirò colpi di pistola e subito dopo accese la luse. Pavan non oppose resistenza. Intanto arrivarono Forestan e Brusco. Subito si spaventarono vedendo tutto quel rosso sulle camise dei loro colleghi. Forestan disse: "Gato tanto mae?" e Stellin: "Mi son fato gnente".
Poi Forestan, Brusco e Visentin portarono Pavan in caserma. Stellin rimase dicendo che voleva ispezionare la casa. "Cosa voto savere di questa casa, casa ancora?". "Vardo se è tuto a posto", rispose Stellin. Invece quando gli altri se ne andarno Stellin si andò a ciapare nell'armadio la bottiglia che aveva aperto la sera prima con Pavan e si sdraiò sotto un albero a scolarsi un goto de vin.
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A.P.

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